“L’apprendistato teatrale al tempo dei dilettanti”
di Anatolij Vasiliev
Da circa quindici anni a questa parte la professione del regista teatrale ha cominciato a mutare. Oggi chiunque può diventare regista. Se non avete altro da fare nella vita, se la vostra donna vi ha tradito, se siete stufi di leggere libri, se la sola idea di viaggiare vi affatica… insomma, se la noia è diventata insopportabile, allora non c’è che da provare a fare il regista teatrale. Nessun problema: andate in un teatro qualsiasi e dite con noncuranza “sono un regista”. Tanto basta a garantirvi una messinscena. Meno sapete fare, meno conoscenze possedete e più sembrerete rassicuranti, innocui, incapaci di piantar grane. Oggi basta avere un paio di ideuzze per farsi strada in teatro. Purché, sia chiaro, non si tratti di idee nuove. A funzionare a meraviglia sono le idee rubate. Del resto, il ritornello della cultura contemporanea è “ruba il più possibile, sempre, ovunque”. L’insalata mista, chiamata pomposamente collage, è il piatto di cui van ghiotti i bulimici postmoderni. Ai miei tempi, nella Russia ancora sovietica, se sapevi molte cose e avevi studiato a fondo le tecniche della tua professione, potevi sperare che forse, un giorno, ti avrebbero affidato una messinscena. Ora la norma è il contrario: gli autori degli spettacoli teatrali sono spesso dei perfetti dilettanti, per giunta molto soddisfatti della propria “geniale” incompetenza. Osservo questo fenomeno un po’ ovunque: in Italia come in Francia, Spagna, Grecia, Russia… Difficile dire quale possa essere la via d’uscita da questa catastrofe che ha investito la cultura teatrale. Almeno questo so: nei momenti difficili, il teatro deve puntare tutto sulla formazione. Nello stato di emergenza, la pedagogia non è un lusso, ma una necessità: a essa andrebbero dedicate le nostre forze migliori. Che sciocchezza credere che si possa imparare a fare teatro sui libri o sui computer: il teatro è un lavoro artigianale, richiede apprendistato, tecniche da trasmettere nel rapporto diretto, per via orale. La Russia, a differenza dell’Italia, vanta una straordinaria tradizione di formazione teatrale. Da Stanislavskij in poi, si è sempre tentato di creare un sistema unitario di conoscenze basate sull’analisi dell’azione scenica e sul lavoro con il testo drammaturgico. Un regista russo, quando se ne riconosce l’autorevolezza, viene invitato dalle accademie a dirigere un corso di formazione di durata non inferiore a quattro anni. Il regista-maestro si mette alla guida di un’équipe di insegnanti di discipline ausiliari (voce, movimento, ecc.), riservandosi gli insegnamenti principali: la regia e la recitazione. In Russia, dedicarsi seriamente all’insegnamento fa parte dell’etica professionale del regista, è un tassello essenziale della sua professione. Da noi, la prima domanda che si rivolge a un regista o a un attore è “con chi hai studiato?”, “chi è stato il tuo maestro?”. Provate a fare la stessa domanda a un teatrante italiano: sentirete una lista di nomi eterogenei, un elenco di stages formato weekend acchiappati al volo. Insomma, un “romanzo di formazione” frammentato, a volte schizofrenico. Inutile dire che tutto ciò si riflette sulla qualità degli spettacoli. A peggiorare la situazione sono i tempi strettissimi della produzione: è fisicamente impossibile creare uno spettacolo decente in cinque settimane di lavoro. E gli spettacoli scadenti formano scadenti spettatori. In fin dei conti, il teatro attuale mi fa pensare a un ospedale che accetta i malati al solo scopo di farli peggiorare in fretta. Chi voglia fare teatro, oggi, deve avere un forte desiderio di cambiarlo: altrimenti è meglio andare in barca a vela. La pedagogia teatrale richiede pazienza e tempo, molto tempo. La mia maestra, Marija Knebel’, ripeteva sempre che non si tratta di formare un regista o un attore, ma una persona di teatro, in grado di padroneggiarne le leggi. L’apprendimento di qualsiasi arte presuppone un oggetto concreto da studiare: nella musica è il suono, nella pittura è il colore, nell’architettura sono il volume, la linea, la luce. Allo stesso modo, esiste uno specifico oggetto dell’arte teatrale: l’azione. E l’azione non è un istinto, ha ben poco di spontaneo: bisogna studiarne le regole, l’articolazione interna, il ritmo. Se un attore ha una idea non etilica di com’è fatta una azione, sarà in grado di conservare la propria individualità lavorando con i registi più diversi: con quelli imperiosi e accentratori, ma anche con quelli svogliati e ignoranti, con i fanatici della forma o con i patiti delle chiacchiere “profonde”. Per garantire all’attore una certa indipendenza, occorre insegnargli a lavorare sul testo, a maneggiare il dramma. Dobbiano ricavare tutte le istruzioni che ci servono dal testo drammatico, come un musicista ricava tutto dalle note, dallo spartito. Il punto è che in venticinque secoli sono stati scritti innumerevoli testi, molto diversi tra loro. Occorre insegnare all’attore a interagire con ogni tipo di testo drammatico, a riconoscere la sua specifica struttura, a sapere che cosa può trarne. È un po’ come la storia di Mosè che colpisce la montagna in un punto preciso per far sgorgare l’acqua: bisogna trasmettere all’attore la capacità di vedere il punto da colpire per far parlare il testo al di fuori dei clichés. Il primo compito di un pedagogo è portare alla luce quel che di singolare e irripetibile vi è nell’allievo. L’individualità dell’attore non emergerà mai, se l’insegnante gli chiede di imitare un modello, buono o cattivo che sia. La scuola basata sull’imitazione, oggi molto diffusa, preclude ogni vera scoperta. In Europa incontro sempre più raramente degli attori con una personalità autonoma. Di regola, vedo un esercito di militi affaticati che chiedono al loro ufficiale verso dove devono andare e contro chi devono combattere. E’ in corso da tempo una orrenda omologazione. Non capisco più chi ho davanti: questo attore viene da Milano o dalla Sicilia? Ha trent’anni o cinquanta? Che tipo di drammaturgia lo attrae? Quali sono i suoi personaggi preferiti? Quando ero giovane, mi è stato insegnato che il regista deve essere un pedagogo per i suoi attori. Del lungo tempo dedicato alla messinscena, egli dovrebbe dedicare due terzi alla pedagogia, cioè agli attori, e solo un terzo all’allestimento vero e proprio, cioè a se stesso. E’ decisivo quel minuzioso lavoro che Stanislavskij chiamava “educazione al ruolo”. Se abbiamo figli, ci preme capire come allevarli: lo stesso vale per i personaggi. Fare il regista significa seguire la gestazione, il parto e la crescita di un personaggio. Autori come Čechov o Pirandello propongono personaggi inediti, tipi umani molto diversi da noi. Per questo è necessario preparare gradualmente gli attori ad accogliere caratteri e comportamenti inusuali. Esiste la realtà della vita e la realtà del dramma. Sono due realtà distinte che non si compenetrano. Potremmo dire che l’arte dell’attore ha qualcosa in comune con il mestiere del traghettatore, di colui che trasporta i passeggeri da un riva all’altra. Chi insegna quella strana cosa che è la “recitazione” dovrebbe mostrare come si realizza questo passaggio. Il paradosso consiste nel fatto che la persona che “traghetta” è sempre la stessa, mentre il punto di partenza e quello d’arrivo variano di volta in volta. Infine, una banalità non banale: ciò che conta nel mestiere del regista e dell’attore è il dramma letterario. Sennonché, nel teatro contemporaneo regna il più grande disinteresse per la parola. Le parole sono diventate vuote, insignificanti, meri pretesti, nella vita come sulla scena. Si sono trasformate in spazzatura infinitamente riciclabile. Più che parlare, travasiamo questa spazzatura da un secchio all’altro. Non stupisce quindi che il discorso verbale abbia perso la sua centralità nel teatro. Non ci si raccapezza più quando si tratta di agire con la parola. Si privilegiano altri canali espressivi, come il corpo o l’immagine visiva. Eppure, la parola è l’apice dell’arte teatrale, il suo nucleo più complesso e affascinante. La sperimentazione nell’ambito delle arti visive ha un limite, i loro mezzi espressivi non sono infiniti, è facile provare la sensazione del déjà vu. Soltanto dove è in gioco la parola, la ripetizione non è mai veramente ripetitiva.
Buona reazione “contro”. Il problema è che la nostalgia non cambia nulla, anzi conferma la deriva verso l’omologazione. il teatro non è questo o quello, ma questo e quello. Spesso le scuole e i maestri (come per esempio in Francia, dove vivo) garantiscono la mediocrità dell’omologazione. Sono libero ricercatore in teatro alla Sorbona di Parigi, e nulla è oggi più ignorante che la più grande università francese. In Francia si accettano i commenti polemici. Censurerete il mio?
Eros Salonia
il teatro e’ questo o quello, non e’ un calderone dove tutto va bene; non e’ questo e quello. se si decide, e per decidere e’ necessario conoscere il teatro, di fare questo teatro (o quello) si prende una decisione importante che bisogna mantenere costante per tutta la vita (non a caso il nome di stanislavskij era kostantin, che significa appunto costante, come anche quello di treplev nel gabbiano): in fin dei conti il teatro si riduce all’insegnamento di stanislavskij e di mejerchol’d (che tra l’altro sono complementari tra loro): tutto il resto sono variazioni di questi due capostipiti (tengo a precisare che quest’ultima frase e’ del mio maestro anton milenin; la riporto per il fatto che io la condivido a pieno).
francesco figliomeni
Nella storia del teatro europeo, le riforme e le innovazioni non sono quasi mai nate all’interno di contesti accademici, o sbaglio?
Sono spesso stati i grandi disapprovati e fischiati a scrivere i testi passati alla storia, a creare le messe in scene di cui si parla ancora, nonostante siano passate decine e decine di anni.
Parlerò degli attori, perchè è quello della recitazione il mio campo di lavoro. E degli attori in Italia, perchè questo è il mio panorama culturale di riferimento.
Il problema a mio avviso non è il luogo della formazione, ma la qualità stessa di questa formazione, e non sempre viene fornita in maniera eccellente là dove più ci si aspetterebbe di riceverla.
Ad esempio, è un dato di fatto che grandi attori italiani siano stati rifiutati ripetutamente come allievi dalle scuole d’eccellenza e che altri attori passati alla storia abbiano fatto solo la gavetta nella compagnia teatrale della propria famiglia.
Ogni percorso dovrebbe avere un cuore, la vocazione dell’attore è inscindibile dalla tecnica. E non tutte le vocazioni possono essere coltivate, visto il numero chiuso delle scuole d’Arte.
E’ la vocazione a fare la differenza, a mio parere.
E la vocazione la riconosce a volte il pubblico, a volte il tempo, e a volte la riconosce purtroppo solo il testimone più spesso corrotto: la politica culturale di un’epoca.
Non credo che si possa parlare di parametri oggettivi eterni, un grande attore dell’ottocento oggi forse non sarebbe considerato tale: troppo eccessivo, troppo impostato, troppe maniere, insomma diverso dagli odierni modelli, forniti anche nelle grande scuole per attori, oltre che dalla televisione.
E’ ovvio, le scuole devono formare dei professionisti che possano inserirsi nel mercato del lavoro e parte di quel mercato è in gran parte cine-televisivo.
L’avere dei parametri rigidi crea omologazione, gli attori finiscono per imitare modelli ritenuti culturalmente validi senza declinare i vari modelli in modo personale, in base alla propria persona, al proprio temperamento e sensibilità d’attore, in base alla propria vocazione.
Non disprezzerei a priori, dunque, “un romanzo di formazione schizzofrenico e frammentato” dell’attore, e per quanto concerne la professione registica,mi permetterei di dire che non sono del tutto convinta che siano “le due ideuzze, magari rubate” a permettere un finanziamento.
Spesso contano più altre cose per fare teatro e rovinarlo…quelle cose che non vengono citate dall’articolo..appoggi politici, fama del passato che fa vivere di rendita nel presente, amicizie influenti e conflitti d’interesse etc. etc.
Thuline Andreoni (diploma corso attori presso Accademia d’Arte Drammatica Paolo Grassi)
Condivido Thulin. E credo che condividerebbe anche Vasil’ev. Accogliamo questa provocazione… incontriamoci. Approfittiamo per segnare dei punti di partenza. Purtroppo per contrastare dei poteri occorre potere.
Giusto! E complimenti per i nuovi fermenti che l’occupazione del Valle offre agli utenti: per conoscersi e scambiare opinioni che contraddicano, talvolta, l’ipse dixit dell’autorità costituita. E’ una bellissima azione quella di Vassiliev, una stage senza dubbio interessantissimo per scoprire questo maestro russo di ispirazione Kantoriana. Eppero’ vorrei ricordare che il metodo russo, seppure sia il primo metodo razionale dell’Occidente, è giovane di un secolo. Mentre il teatro ha più di duemila e quattrocento anni. Chi è dunque il maestro, la logica empirica positivista o il cittadino ateniese non professionista che adempiva gratuitamente ai riti teatrali per una durata di qualche settimana l’anno? Quale metodo, se non la coscienza della sua generosa partecipazione a un fatto sociale?
E’ molto bello sentire questo fermento, emoziona percepire il desiderio, intravedere il luccichio di nuove prospettive, sentire che qualcosa si accende oltre la pigrizia comoda del nostro tempo… e qualcosa si può dire…oltre.
Allora, Vasil’ev non è affatto “di ispirazione kantoriana”. E se c’è una cosa che lui ripete sempre ad ogni incontro di lavoro è che l’origine di tutto il nostro teatro e di tutta la nostra letteratura sta nel rito della tragedia greca ed è lì che bisogna cercare… Poi, lui si è formato con M. Knebel e con A. Popov, dunque è “portatore sano” (!!?) dei metodi russi di Stanislawskij e Mejerchol’d..dai quali ha elaborato la sua percezione di teatro. Il Teatro è sacro, tragico, drammatico, comico, satirico… ma nulla di questo è di prima importanza. Nel metodo le differenze sostanziali sono tra struttura situativa ( o psicologica ) e struttura ludica e il mix di queste due… Tutto il suo lavoro mira a PROVOCARE l’attore, ad insegnargli un metodo per provocarsi il processo ( che NON è mai nella direzione di un risultato, di un’estetica !)…è il processo interno, che il maestro sa leggere e decifrare, guidare, dirigere..è a quel processo interno che si deve necessariamente fare attenzione. Chi ha lavorato con Milienin, suo allievo, sa di che si tratta. E’ un lavoro duro che si raffina in anni di durissimo lavoro, che molti attori di talento hanno spontaneamente, ma che perdono che dimenticano nelle routine del proprio mestiere e soprattutto perché non imparano a decifrarlo ( non c’è in Italia un pedagogo che te lo insegni), è tutto caotico e sommario. Il suo è un dialogo continuo con qualcosa che sta oltre, fuori di noi… è un lavoro delicatissimo della ricerca dell’azione (INTERNA). Di qualcosa che vive oltre noi, ma che ti imprime la tensione, che si accende nel dialogo, nel conflitto, nel gioco degli attori…è la ricerca di una verità che passa attraverso l’alternarsi e l’intrecciarsi di emozioni e pensieri. E’ per questo che il teatro sacro è il più pericoloso e il più alto…ma bisogna saperlo fare, altrimenti si frigge l’aria ! Ci vediamo a Roma sarà divertente e mistico allo stesso tempo. E’ il Teatro ! Occupiamocene! Ciao
Grazie per questa introduzione al mondo di Vasiliev. Non metterei mai in dubbio l’efficacia e la professionalità del “maestro” (anche se il maestro è solo in noi). Bellissimo anche il durissimo lavoro -assente peraltro, dalle logiche di mercato. Non potro’ scendere ahimè in Italia per assistere al seminario, per vedervi in azione, per sperare che il teatro esista ancora. Non bisogna dimenticare pero’ che laddove l’attore non esiste più (per debolezza, mediocrità, sfarzo, tele-recitazione, ecc.), ci sono i poveri ignoranti, che, senza metodo, sorprendono per il loro talento, senza aver mai fatto scuole. Comprendo meglio l’articolo di Vasiliev e te ne ringrazio. Vedo che è sincero quando espone la sua “preoccupazione” per lo stato del teatro.
Quello che mi premeva dire è che il pericolo della strumentalizzazione è grande, anche al VALLE. Quando Vasiliev afferma che un regista russo, quando è valido, lo chiamano tutti per almeno 4 anni, significa parlare di una “categoria” e non di una persona. Per quanto Vasiliev possa essere un grande maestro, NON puo’ dire che la scuola russa puo’ salvare il teatro. “Con chi hai studiato? Chi è stato il tuo maestro?”, mi sembrano frasi che ascoltavo a vent’anni, quando mi si negava un ruolo o una regia perché non avevo fatto tale o tale scuola, perché non seguivo tale o tale metodo, come un’etichetta su un pollo al supermercato.
Perché esistono attori come quelli di Rodrigo Garçia, attori mimi o grandi clown come quelli che stanno a gelarsi il culo nella metropolitana di Parigi e Londra: attori “necessari” perché se non reciteranno bene, moriranno di fame; esiste anche una forma di teatro in cui l’attore passa dietro la regia, come per esempio certi spettacoli di Bob Wilson. Esistono grandi attori usciti dalla televisione e dal varietà (Sordi, in Italia, Balasko, in Francia). E, se non sbaglio, attori americani hanno conosciuto il metodo Strasberg che interpreta liberamente Stanislawskij. Quello che spero è che un’attore sia riconosciuto per il suo talento più che per il maestro che ha avuto. Mi capita (purtroppo) di andare a teatro, a PARIGI e vedo spesso performance di allievi di Lecoq, di Barba, di Grotowski, che non fanno altro se non METTERE IN SCENA IL METODO, più che creare azioni d’anima. Una cosa è vedere Grotowski accanto ai suoi allievi, altra cosa è quello che avviene dopo la sua morte. Credo che i metodi nascono e muoiono con i maestri. Il PERICOLO è grande, il potere della trasmissione mediatica è troppo mostruosamente presente perché non sia trasformato in ideologia.
Approfittate dunque delle lezioni del maestro Vasiliev, appassionatevi alla sincerità del teatro nudo, sapendo pero’ che siamo piccola cosa e che l’ignoranza è alla base della creazione.
Grazie a tutti,
Eros
condivido molto di quello che dici…quasi tutto. Ma devo solo dirti che il talento non viene messo in discussione, né, quasi, in considerazione. Si tratta di trovare un linguaggio comune, di accettare il dialogo col fallimento di non far finta di essere dritti in piedi se in realtà si è caduti. Di riprendere un dialogo con la morte e con la vita…solo così si rinnova si costruisce… cancellare la bugia e accettare l’avvento del miracolo. E’ un modo di dire. Vasil’ev vuole fare scandalo ! Altrimenti non avrebbe scelto Pirandello. Provoca, da geniale pedagogo quale è il processo !
Bellissimo commento. Anche io lo condivido in massima parte. L’ultima frase poi ( l’ignoranza è alla base della creazione) me ne fa ricordare un’altra di Shunryu Suzuki Roshi, uno dei Maestri Zen più importanti del ‘900: “Mente Zen, Mente di principiante”.
Apparentemente sembra una cosa lontana dal teatro, eppure io ci vedo molto in comune tra queste due frasi. Per abbracciare la creazione e la conoscenza, occorre per forza di cose “svuotare” il proprio recipiente saturo di luoghicomuni, clichè e preconcetti per andare verso un terreno inesplorato. Occorre “rischiare” come dice sempre il mio insegnante di teatro.
Sono un appassionato di teatro che fa tutt’altro mestiere e da un po’ di anni mi sono avvicinato a questa meravigliosa professione come dilettante. Ho avuto la fortuna di studiare e praticare teatro con gente molto preparata e “appassionata” (anche se in gran parte poco conosciuta) e dal canto mio ho potuto farmi l’idea appunto che stanislavskij e mejerchol’d sono complementari tra loro (come già detto poc’anzi da francesco figliomeni) e vederlo scritto da un’altra persona in modo così chiaro quando in me era solo un’idea molto personale e indistinta mi ha emozionato.
Mi piace ricordare sempre le parole del grande Gian Maria Volonté: “Non entro e non esco. Mi metto lì con tanti materiali e tante cose. Calarsi o non calarsi sono luoghi comuni, non esiste secondo me una tecnica unica, precisa. Si può interpretare un personaggio in totale immersione, ma anche il contrario”.
E poi continua dicendo che lui parla sempre con scetticismo dei suoi percorsi personali per arrivare ad un personaggio, perchè sono suoi. Lui li conosce bene e sono frutto di anni di lavoro e di studio ma non c’è un percorso unico, universale. Occorre “sperimentare” su se stessi cosa succede se si infrange il “già noto” e si va verso l’inesplorato.
Grazie per questa stupenda iniziativa e la splendida discussione che state creando.
I would point out that everything Maestro Vasiliev writes about regards first and foremost theatre as an art-form, before theatre as a profession. It is clear from the huge abundance of acting schools/studios/teachers that theatre pedagogy, in Italy and elsewhere, caters much more towards the second, and what is the theatre profession and formation as imitation of successful role-models if not an affirmation of current artistic dogmas and politi-cultural structures?
Such affirmation can only lead to the decay of theatre as an art-form, being obviously out-numbered in the job-opportunities it offers in the face of other medias that require the talents of actors, directors, writers etc.
Moreover, it is the negation and ignorance of theatrical tradition that constantly pushes artists to re-define the art, eternally losing its identity as a unique and specific practice. I believe the last thing that can be said about Maestro Vasiliev's work and teaching, the man who self-imposed his artistic exile from Russia when authorities required him to bend a little, is 'omologazione'.
Vorrei rispondre a tutti, a partire dal Maestro Vasiliev…ma mi limito solo a dire : Che bello sentire parlare di Teatro da parte di tutti Voi e a questi livelli. Solo una considerazione, dal momento che non potrei aggiungere niente di più e di meglio a quello che avete così bene esposto. Dopo 31 anni alla guida della mia Scuola, qui a Bologna, dopo aver versato lagrime e sangue con eterni ancestrali sacrifici, dopo aver visto “crescere” generazioni di Uomini e Donne (Attori e Attrici) e dopo tante altre cose che qui non aggiungo per ragioni di tempo, dico che sono profondamente deluso dalle nuovissime generazioni, figlie del Grande Fratello e di Amici e di altra MONNEZZA di questo tipo. Sì perché oggi non sanno chi è Pinter ma sanno chi è quel “tronista” apparso in Tv; mi chiedono se Euripide è un contemporaneo; sono presuntuosi perché come regista cerchi di guidarli secondo un metodo pedagogico (Stanislavskij!) e loro credono che vuoi minare la loro personalità (quale?).; vogliono diventare SUBITO famosi e i sacrifici li fanno solo i cretini e i perditempo. Non ho parole…a 60 anni…vorrei davvero gettare la spugna e, se resisto, è solo perché ogni tanto emerge qualche giovane “normale” che ti ripaga parzialmente dei dolori che provi quotidianamente. Ma quante cose, cari Amici teatranti, vorrei dire ancora….Grazie perché ci siete…lo sento. Con affetto e stima per tutti voi.
Emanuele Montagna
I agree Boaz .
Sento anche io necessario confrontarmi con il pensiero di Vassiliev. Devo tuttavia fare una premessa. Nel mio percorso di studi come attore posso contare su due scuole,quella russa, grazie al maestro e amico Juri Alschitz, attore di Vassiliev, e della scuola dell’Odin, grazie al mio mentore Francis Pardeillhan. Come attore non credo che i due percorsi siano stati per la mia formazione un ostacolo, ma anzi credo fermamente che siano e sono tutt’ora il miglior percorso che io abbia potuto seguire.
Rileggendo le parole di Vassiliev, parole che ho sentito pronunciargli diverse volte, a Venezia dove l’ho seguito nelle sue lezioni sia nel 2007 che nel 2009, nutrivo allora ed ora una perplessità. Sentire un grande maestro che pone giudizi di forma sull’arte del teatro mi spaventava e mi spaventa. Credo infatti che la mediocrità non sia insita nei percorsi ma negli uomini che la operano e la accettano. Il percorso di Regia per esempio, è un percorso artigianale, fatto di esperienza, i testi che ne parlano e le scuole che la insegnano non riescono a dare corpo ad un arte cosi complessa. Ecco perche ritengo che l’apprendistato artigianale sia un compito fondamentale per un regista che si cimenti in tale forma d’arte, allora mi chiedo e chiederei al maestro, quando si può iniziare ad agire tale forma d’arte? Concordo con chi parla di talento, ma il talento è una cosa rara, non possiamo pensare che tutti siano in possesso di talento, e soprattutto che ne siano consapevoli.
Non riesco a percepire nelle parole del maestro un tentativo di riqualificazione del teatro, ma sento velato, un risentimento nel vedere che il teatro volge ad altre forme,diverse dal teatro di testo e dal teatro di regia. Lo sento quando afferma che quando il teatro si deve rifugiare dalla sue lacune, allora diventa teatro fisico o d’immagine tralasciando la parola. Trovo questa affermazione assolutamente errata, visti i grandi esempi di teatro fisico e d’immagine che continuano a riempire i teatri nel mondo.
La metodologia che segue Vassiliev è assolutamente interessante, tuttavia ha delle lacune profonde a mio avviso. Manca del rapporto con il pubblico. L’azione interiore deve scontrarsi con l’azione, e se quest’ultima non è chiara, allora si perde anche la vita interiore. Nel guardare gli spettacoli di Peter brook, mi rendo conto che l’arte della regia ha delle regole imprescindibili, gli attori di brook vivono dentro ma agiscono in scena. Se si togliessero le parole ad uno spettacolo di brook,le azioni parlerebbero da sole,ho i miei dubbi che accadrebbe lo stesso con quelli di vassiliev. E’ poi mi pongo un problema, può un arte, una pedagogia non mostrarsi al pubblico? Se il Teatro è azione,allora ha bisogno di rivelarsi nella sua forma finita che è la messa in scena. Quello è il banco di prova sia dell’attore che del regista, li e solo li si mostra il genio,l’arte o la mediocrità. Il resto è silenzio.
“Manca del rapporto con il pubblico. L’azione interiore deve scontrarsi con l’azione, e se quest’ultima non è chiara, allora si perde anche la vita interiore. Nel guardare gli spettacoli di Peter brook, mi rendo conto che l’arte della regia ha delle regole imprescindibili, gli attori di brook vivono dentro ma agiscono in scena. Se si togliessero le parole ad uno spettacolo di brook,le azioni parlerebbero da sole,ho i miei dubbi che accadrebbe lo stesso con quelli di vassiliev.”
Il Teatro di Vasil’ev vuole una struttura seria e un gruppo di professionisti che vi lavorano tutti atti a preparare un linguaggio un incontro con l’autore con la storia, con la politica, con il sapere e con una verità…richiede professione e professionalità, un linguaggio comune, è l’arte del dialogo, della comunione. Dopo la tirannia dei giganti e della bestia, di una natura selvaggia, dell’Antico Testamento e dunque della Tragedia ( greca), arrivano i Vangeli, il dialogo dell’uomo con gli uomini, l’etica interna… da lì, dall’umanesimo che ne consegue si deve ripartire…da lì deriva anche la letteratura europea e russa dell’800. Ricordiamoci anche che la Russia è il luogo in cui oriente e occidente si incontrano, il Caucaso è la Colchide di Medea e lì avvengono gli incontri e i furti delle culture…Il centro dell’occidente secondo i russi resta il Mediterraneo, luogo infinito di incontro…
Un esempio l’ Iliade messa in scena da vasil’ev nel suo Teatro a Mosca ! :
http://www.youtube.com/watch?v=2a3bozz0qNI
Grazie per questo video. E’ bellissimo! E’ ovvio che il compito di noi tutti è di proteggere la creatività, per evitare il naufragio. Allora, ho una proposta da fare a Nicola Bibi. Suppongo che tu faccia parte dei registi invitati da Vasiliev. Perché non fare dei video pedagogici sulle lezioni, da diffondere su questo blog (o sul sito). Cosi’ magari, ci renderemo tutti conto del lavoro su di voi. Parlo a nome di quelli che, come me, non hanno la possibilità (economica o altro) di assistere alle prove. Eviteremmo i commenti fuorvianti, attenendoci esclusivamente a commenti sulla pratica del teatro.
Allora, cosa ne pensi?
No, non sono tra i registi che lavorano con Vasil’ev. Ho lavorato con lui come attore al Grotowski Institute a Wroclaw e spero di proseguire il mio percorso con lui. Ciò che può essere proposto immagino lo si debba proporre a Vasil’ev di persona, ma non so se accetterà. Lui impiega dall’anno ai 3 anni per preparare gli attori ad uno spettacolo…le prove continuano anche dopo il debutto…sarà lui a raccontarvi queste cose… in una settimana credo che si farà ben poco, ma sicuramente si capirà come partire. Vasil’ev è l’unico che può parlare del proprio lavoro, credo che l’unica possibilità per cominciare un dialogo sia esserci. Non costa nulla, lui mi pare che verrà gratis, nemmeno un rimborso spese ( mi sembra straordinario ). Video ? Parlatene con lui !
Vasil’ev vuole un conflitto d’incontro, vuole lui stesso mettersi alla prova, in discussione. E’ questa la straordinaria arte che insegna.
Non nego che spesso le sue sparate provocatorie fanno girare parecchio “le noci”..ma l’incontro è il luogo del dialogo, non il video, la tv, il computer, le discussioni via internet. L’INCONTRO !
Sono chiaramente concorde che sia “l’incontro” il luogo del dialogo, e sono altrettanto concorde con il tuo riferimento al processo di Vassiliev che tende a provocare nell’attore,come specificavo nel mio primo intervento,anche io ho seguito il metodo e continuo a studiarlo,questo tuttavia non mi impedisce di metterlo in crisi,di analizzarne i punti deboli.
Le affermazioni del Maestro rispetto al teatro, alla regia, e al dilettantismo imperante,sono come specificavo forzate da una velato risentimento,a mio avviso. Non si può pensare che esista un unico teatro, e un solo metodo,vorrebbe dire che esiste una sola verità, e questo mi sembra pericoloso. Se esiste una verità, è quella dell’azione,se è chiara,semplice,allora è perfetta,e se è perfetta comunica tutto il suo significato. Molti hanno scelto strade diverse per raggiungere questo risultato,i processi devono portare a questo. Altrimenti a cosa servono in un arte artigianale come il teatro?
Grazie. Vedo che questo commento concorda col mio e che legge la stessa insofferenza sulle posizioni monolitiche. Probabilmente quello che Nicola Bibi vuol dire con i suoi tre interventi, è che il metodo, gli spettacoli e il genio di Vasiliev meritano di essere apprezzati aldilà delle posizioni ideologico-estetiche abbastanza immature e un po’ naifs del maestro.
Teniamoci dunque ai risultati di un metodo pieno di vitalità e di buona fede. Anche la grande regista Mnouchkine, a Parigi, quando parla della società, è ferma su presupposti decisamente obsoleti, non legge teatro contemporaneo e non va quasi mai al teatro. Chi lavora con lei, deve fare una gavetta mostruosa, passando dalle pulizie in cucina, al lavoro di elettricista, prima di poter recitare (eventualmente) un giorno con lei. I suoi spettacoli restano magnifici, protetti forse dal suo isolamento intellettuale.
Comunque, questo scambio epistolare incrociato mi ha permesso, personalmente di scoprire un grande regista.
Bellissimo questo scambio incrociato tra Eros Salonia e Massimiliano Burini. Non mi ripeto perchè ho scritto già un commento poco sopra e non avevo ancora letto gli interventi di Massimiliano che a mio avviso sono centrali. Li condivido anch’essi.
Come ho già scritto sopra sono un “amatore” che studia e pratica teatro da alcuni anni per il puro piacere di fare un’esperienza creativa (che il mio lavoro non mi permette).
Se c’è una cosa che ho imparato è appunto che il teatro è “azione”. Il modo e il percorso con cui ci si arriva è certamente importante, ma la cosa più bella è che questi percorsi possono essere tanti e diversificati. Pensare che ci sia una sola verità è sempre pericoloso e a mio avviso può creare dei mostri.
Ma si può accettare come “vezzo” di un grande regista.
Sembra così assurdo tutto questo,
definiamo tutto con il nome di “maestro”, “metodo”, “scuola”
“disciplina”.
Viviamo di falsi miti, accecati dal “fascino” di questi personaggi pieni di verità.
La ricerca è doverosa, ma come si può imparare dalla presunzione di chi considera giusto il proprio percorso?
Come si può pretendere di insegnare qualcosa se noi stessi siamo ancora alla ricerca? Quindi vuol dire che nel momento in cui insegniamo è perché abbiamo raggiunto “LA CONOSCENZA” siamo quindi degli illuminati, illuminati che non hanno bisogno di sapere altro..
Ho incontrato Vassiliev, mi sono approcciato al suo percorso, ho incontrato anche un senza tetto che mi ha parlato di lui, della sua vita, del suo percorso,
da entrambi gli incontri ho realizzato due spettacoli diversi, la domanda è: quale pensate sia stata un opera teatrale e quale la frustrazione di un uomo?
Riuscite a vedere, a gustare, a sentire?!.. non c’è formazione migliore della vita che ogni giorno viviamo.
Non c’è da vantarsi su chi sia il nostro insegnante, dove ci siamo formati, che bella esperienza abbiamo fatto.. quella è maleducazione, mancanza di altruismo, egocentrismo, che ci tiene bloccati in uno stato di limbo, il peggiore, la nostra mente superba.
Viviamo e prendiamoci un po’ meno sul serio..
L.L
Sono d'accordo con Vasiliev sul fare teatro come pedagogia da parte del regista sugli attori e degli attori sul pubblico: l'uso della parola però rimanda alla voce e alla sua modularità espressiva nell'unità di luogo, tempo e azione. Pertanto metterei la voce al vertice dell'esperienza teatrale con scandagli di parole.
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Anna